I social network sono da anni uno strumento fondamentale per la Pubblica Amministrazione. Si pensi soltanto a quanto Instagram, YouTube, Facebook e Twitter siano stati decisivi per informare la popolazione nei primi drammatici mesi della pandemia. Dai Governi fino a Comuni, i rappresentanti politici li hanno utilizzati per indicare elementi fondamentali (quarantene, aperture, chiusure, limiti agli spostamenti). I social hanno dunque svolto un ruolo decisivo: una piazza pubblica, punto di riferimento per le persone. Nel 2023, a emergenza sanitaria terminata, la loro utilità non è svanita e nel dibattito si è inserito il caso TikTok, app di proprietà della Big Tech cinese ByteDance, da mesi sotto ripetuti attacchi da parte di Stati Uniti ed Europa, dove in molti vorrebbero limitarne l’utilizzo.

Tutto è partito ai tempi della presidenza USA di Donald Trump: il tycoon si era espresso in maniera esplicita contro TikTok, accusando la società cinese di mettere a rischio la sicurezza dei dati degli utenti statunitensi (che nel frattempo sono arriva a essere 150 milioni sulla piattaforma), consegnandoli al governo di Pechino. Alla luce di questo rischio percepito, nel 2023 Oltreoceano e nell’UE sono diverse le realtà pubbliche e private che hanno proibito di installare e utilizzare l’app sugli smartphone aziendali. City Vision è da sempre attenta alle transizioni in atto nei comuni, soprattutto quelli medio-piccoli: in questi contesti i social sono fondamentali per mantenere un contatto con la cittadinanza.

Cosa succederebbe dunque in un estremo scenario in cui TikTok venisse messo al bando? Non è un’ipotesi di scuola: pochi giorni fa lo Stato USA del Montana ha approvato una legge che obbliga giganti come Apple e Google – che controllano gli store online dove viene scaricata l’app – di rimuoverla entro il primo gennaio 2024. Difficile capire come andrà a finire, soprattutto perché sono già partiti i ricorsi. Come è invece la situazione in Italia? Il Governo finora non ha preso alcun provvedimento in merito.

In marzo il ministro della Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo si era espresso così: «Ho notato che sia nella Comunità Europea che in diversi stati federali americani viene vietato ai dipendenti pubblici l’utilizzo di TikTok. Ho sollevato il problema e detto che è opportuno approfondire il tema e capire se effettivamente esistono dei rischi legati alla sicurezza degli utenti di questo social». Da allora nessun aggiornamento a riguardo.

Va senz’altro ricordato che TikTok non è affatto il social di riferimento per la PA. Le piattaforme sopra citate sono quelle che finora sono state utilizzate di più (aggiungiamo anche Telegram, molto utile per notizie puntuali). TikTok, a torto o a ragione, viene ancora percepito come il social della Generazione Z e questo comporta un fraintendimento di fondo: in molti potrebbero pensare che non sia il veicolo ideale per la PA. In realtà per entrare in contatto con i cittadini più giovani – gli elettori del domani – sarebbe utile mettersi nell’ottica di sperimentare anche questo strumento, sicuramente meno istituzionale (e dunque ricco di sfide per la PA).

Non sappiamo che fine farà lo scontro sul ban di TikTok a livello USA ed europeo. Ma nel frattempo è importante che la PA consideri anche questo strumento per costruire ponti comunicativi con una fetta della popolazione. Richiederebbe competenze e impegno, ma potrebbe pure spingere cittadini e turisti a conoscere realtà meno note della penisola, oltre che a spiegare ai residenti le ultime novità nel proprio Comune.

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