L’innovazione può farsi strada anche nella pubblica amministrazione italiana. Non è solo un auspicio, ma inizia ad essere anche una strada lastricata non di buone intenzioni, ma di buone pratiche, esempi concreti che diventano casi scuola e vengono messi in rete tra gli enti locali. Storie come quelle che sono state raccontate dai loro protagonisti nel webinar “Innovazione amministrativa e sviluppo locale” promosso da Anci e Comune di Brindisi nell’ambito del progetto Interreg Med +Resilient, e che ha evidenziato la rilevanza dell’innovazione amministrativa per attivare processi di sviluppo locale e impatti sociali positivi. Coinvolgimento della cittadinanza non episodico ma continuativo, co-progettazione, utilizzo di strumenti digitali sono alcuni tratti comuni di queste esperienze. Molti esempi di amministrazione partecipata saranno al centro del prossimo forum di City Vision, dedicato allo Smart Government. Registrati subito.
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Brindisi: il laboratorio di innovazione urbana
A ospitare virtualmente il confronto è stato lo spazio Palazzo Guerrieri nel centro storico di Brindisi, che negli ultimi anni è divenuto sede di un Laboratorio di innovazione urbana che ha dato vita a esperienze di gestione condivisa dei beni comuni e supporto alla nascita di imprese ad elevato impatto sociale, come hanno spiegato i responsabili Davide di Muri e Davide Agazzi. Attraverso una serie di bandi, il Laboratorio ha sostenuto alcune decine di progetti e startup per migliorare la qualità della vita in città, dagli orti urbani al turismo, dal monitoraggio della qualità dell’aria ai videogiochi pedagogici fino al welfare collaborativo nei quartieri popolari. Le sale del palazzo ospitano inoltre il coworking Molo 12.

Reggio Emilia e il progetto sui quartieri
La dirigente del Comune di Reggio Emilia Nicoletta Levi ha raccontato il progetto “Quartiere, bene comune”, nato nel 2015 come risposta al venire meno del modello di partecipazione e decentramento basato sulle Circoscrizioni comunali. Dalla crisi del vecchio modello alla proposta di qualcosa di nuovo: il modello di collaborazione attivato dall’amministrazione comunale prevede quattro step. Il primo è il laboratorio di quartiere, fase di confronto e co-progettazione per condividere problemi, esigenze e ipotesi progettuali. I quartieri e le frazioni sono circa 50, suddivisi in 8 macro aggregati con caratteristiche omogenee. Il secondo step è l’accordo di quartiere, sottoscritto dal Comune e da tutti i soggetti – associazioni, comitati, imprese… – che avranno parte attiva nei progetti previsti nel documento e che si impegnano sottoscrivendo un accordo di cittadinanza. L’accordo di quartiere mette nero su bianco i progetti collaborativi concordati durante il laboratorio. Fase tre, la gestione dei progetti, in cui il Comune coordina l’attuazione delle singole attività, ciascuna con costi, tempistiche e responsabili ben precisi. La quarta e ultima fase è la valutazione, in cui con metodo collaborativo si verificano insieme i risultati e gli impatti raggiunti, per capire come procedere in vista di un nuovo accordo. Tra il 2015 e il 2019 sono stati sottoscritti 27 accordi di cittadinanza con oltre 730 soggetti, e sono stati realizzati più di 160 progetti di innovazione sociale nei quartieri, che hanno servito 14 mila utenti. È stato anche realizzato un atlante per ogni quartiere della città.

Bergamo: le decisioni sono decentrate
Anche a Bergamo nel 2014 la giunta comunale si è inventata una nuova formula per il decentramento delle decisioni dopo la soppressione delle vecchie circoscrizioni per i comuni al di sotto dei 250 mila abitanti. Il risultato sono le Reti di Quartiere, gruppi composti da cittadini, rappresentanti di associazioni, enti, comitati e servizi che hanno a cuore il bene del quartiere e si attivano per realizzarlo. Ogni Rete di quartiere si attiva promuovendo la conoscenza del contesto sociale e la partecipazione con l’obiettivo di trasformare e migliorare il quartiere adattandolo alle esigenze dei suoi abitanti. Il progetto, ha spiegato l’assessore all’Innovazione del Comune di Bergamo Giacomo Angeloni, ha un’interfaccia web agile e di facile utilizzo al sito retidiquartiere.it, e riunisce 22 Reti attive con circa 300 realtà partecipanti. Ogni Rete ha un operatore di quartiere che lavora in uno stabile comunale nell’area interessata, un’email e un orario di chiamata per i colloqui.
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La Rete Case del Quartiere di Torino
In alcuni quartieri di Begamo sono state create le Case di quartiere sul modello di Torino: nel capoluogo piemontese a partire dal 2012 nascono questi spazi pubblici, promossi dal Comune, come laboratori culturali in cui si avviano esperienze di coinvolgimento e auto-organizzazione. L’innovazione della Rete Case del Quartiere torinesi sta nel progettare spazi che superano le politiche settoriali, in cui cioè trovano spazio, fiano a fianco, diversi servizi comunali o gestiti operatori del Terzo Settore. In molti casi si tratta di spazi abbandonati che sono stati riqualificati e che si adattano alle esigenze del contesto in cui sono calati, ospitando rassegne culturali, servizi alla persona, sportelli di consulenza, servizi di ristorazione e molto altro, con l’obiettivo di stimolare la cittadinanza attiva.
Giulio Todescan