Un QR Code verde, giallo o rosso che – sulla base dell’elaborazione di dati personali sensibili – decide se a un cittadino è consentito o vietato l’accesso a uno spazio urbano come un mercato, un edificio o una stazione della metropolitana. Una sorta di semaforo ipertecnologico collegato a una app, che ogni cittadino deve installare obbligatoriamente nel proprio smartphone: si chiama Alipay Health Code il volto più avanzato – e inquietante – della smart city cinese.
Descritto in un articolo di marzo 2020 del New York Times, questo sistema è stato adottato inizialmente nella città di Hangzhou, e poi in gran parte del Paese, ed è parte integrante della strategia post-lockdown del gigante asiatico, che stando ai numeri ufficiali è riuscito a tenere sotto controllo la pandemia da Covid-19, evitando la seconda ondata di contagi che ha invece sorpreso l’Europa e permettendo così all’economia di tornare a crescere.
In Corea del Sud e a Singapore l’app di tracing è obbligatoria
Un presente dominato da una tecnologia pervasiva, dunque, che se da un lato garantisce apparentemente grande efficienza, dall’altro assume i contorni inquietanti di una distopia in cui l’autorità è in grado di controllare la mobilità degli individui nel dettaglio, grazie a un uso assai disinvolto dei dati personali. Una realtà esistente nella Cina del partito unico al potere, ma che con sfumature diverse si ripresenta in altri Paesi asiatici caratterizzati da megalopoli ipertecnologiche. È il caso della Corea del Sud e di Singapore dove durante la prima ondata di contagi l’installazione di app di contact tracing è stata resa obbligatoria per i cittadini, e non facoltativa come in Italia e nei Paesi occidentali. Proprio questa prassi – insieme ad altri fattori sanitari, politici e sociali – ha permesso a quegli stati dell’Asia di controllare di più la diffusione del virus, ma al prezzo di scavalcare ampiamente i confini della privacy.
Proprio Singapore è risultata al primo posto nell’indagine Smart City Index 2020, basata su un questionario diffuso tra i cittadini per stabilire quanto essi percepiscano d vivere in un contesto urbano “smart”. Lo studio, disponibile a questo link, è stato promosso da IMD – Institute for Management Development, in collaborazione con SUTD – Singapore University for Technology and Design.

Il cuore dell’intelligent city cinese? I lampioni
Per quanto riguarda la Cina, le app per il tracing sono solo uno dei tasselli di un mercato delle tecnologie smart per le città che appare in pieno sviluppo. E che sicuramente è interessante osservare, visto che l’enorme sviluppo urbano della Cina contemporanea ci pone di fronte a scenari inediti, che anche l’Europa potrebbe vivere nel futuro. Secondo stime citate da ING, infatti, il mercato delle tecnologie per “smart city” in Cina vale 181 miliardi di Yuan cinesi nel 2020, pari allo 0,18% del PIL, ma crescerà fino allo 0,3% del PIL nel 2025. Al cuore di questo mercato ci sono… i lampioni. Le “smart street lights” installate a milioni nelle metropoli cinesi infatti, oltre ad illuminare le vie, accentrano diverse funzioni: telecamere di sorveglianza, gestione del traffico, raccolta di dati sul meteo, hotspot per il wifi, punti di ricarica per veicoli elettrici e, integrandosi con la tecnologia 5G, sistemi di sensoristica per le auto a guida autonoma.
Xiong’an New Area, il quartiere “a prova di pandemia”
E se la megalopoli Shenzen – 12 milioni di abitanti e fulcro dell’industria tecnologica – è ritenuta da ING la più matura tra le smart city del Sud Est asiatico, il governo cinese ha elaborato un grandioso progetto pensato per allentare la pressione demografica su Pechino, che di milioni di abitanti ne conta ben 21. Xiong’an New Area è il nome dalla new town che sorgerà un centinaio di chilometri a sud della capitale, e che dovrebbe entrare a regime nel 2035. Integrazione “nativa” con la tecnologia 5G, rete efficiente di trasporti pubblici e natura: questi gli ingredienti della futura città, che sarebbe anche dotata di quartieri “a prova di pandemia”, ovvero con grandi terrazze, ampi spazi per lavorare da casa, grandi stampanti 3D condivise con cui i cittadini potranno produrre risorse localmente anche nei periodi di lockdown. Nella progettazione è stato coinvolto lo studio Guallart Architects, con sede a Barcellona, che proprio durante il lockdown di primavera 2020 ha elaborato questa innovativa concezione urbana.