L’industria mineraria con il tempo acquisterà sempre più importanza, perché è indispensabile per produrre la tecnologia che utilizziamo tutti i giorni, dagli smartphone alle batterie delle automobili elettriche. Ma è anche una delle attività umane con il peggior impatto sul pianeta: l’inquinamento prodotto dai macchinari, la distruzione di habitat naturali per far spazio alle miniere, le contaminazioni del suolo dalle lavorazioni.
Da tempo si cercano soluzioni alternative, meno impattanti. Una di queste lascia il “lavoro sporco” in mano alle piante. Più di 700 specie di piante sono denominate infatti “iperaccumulatrici”, poiché hanno la capacità di assorbire e trattenere significative quantità di metalli come lo zinco e il cobalto, fondamentali per la produzione di batterie e il nichel, impiegato soprattutto per creare l’acciaio inox. L’alisso giallo (Alyssum murale) – in foto, una pianta erbacea con fiori gialli, che cresce anche in Italia, è in grado di assorbire fino a 16,9 grammi di nichel per chilogrammo.

Phytomining
Il processo, ideato da Rufus L. Chaney nel 1983, si chiama phytomining. Oggi il sistema è in via di perfezione da Antony van der Ent, un ricercatore di biogeochimica all’Università del Queensland, in Australia. Ora una sperimentazione è stata avviata nel parco nazionale di Kinabalu, sito patrimonio dell’Umanità UNESCO nel Borneo Malese.
Ogni ettaro di foresta di Kinabalu equivale dai 150 ai 250 chili di nichel, con un guadagno di qualche migliaia di euro. A parità di terreno coltivato, i guadagni sono in linea o superiori a quello che potrebbero fruttare altri tipi di coltivazione, tra cui la famigerata palma da olio, che provoca enormi problemi ambientali, in particolare disboscamento di enormi aree e riduzione della biodiversità. Destinare i propri terreni al phytomining potrebbe quindi essere una soluzione economicamente sostenibile anche per i contadini.