Gli appassionati di gare automobilistiche probabilmente già lo sapranno. Per tutti gli altri, è l’occasione per avvicinarsi a un settore che ha sempre più a che fare con i software e sempre meno con i motori. Parliamo di Indianapolis, uno dei circuiti più famosi del mondo, che a ottobre ospiterà la prima gara senza piloti.

È la nuova frontiera della guida autonoma.

Le monoposto correranno da sole, i piloti le aspetteranno in tribuna. A guidare ci penseranno gli algoritmi. Una sfida che porta il nome italiano di Dallara. Le auto in gara, tutte uguali, arriveranno infatti da Varano de’ Melegari, dove sono state progettate dallo storico produttore emiliano per poter essere guidate a distanza. Come in un videogame.

Sulla griglia di partenza ci sarà anche un team che monterà il software progettato dal Politecnico di Milano guidato dal professor Sergio Savaresi, che parteciperà al primo appuntamento di City Vision 2021, il prossimo 24 marzo, dedicato proprio alla smart mobility. La guida autonoma è, infatti, una delle frontiere più attese della nuova mobilità. E l’esperimento di Indianapolis ne è la dimostrazione.

Certo, potremo parlare di vera rivoluzione solo quando i veicoli senza conducente potranno snodarsi in tutta sicurezza anche nel traffico cittadino. In questo caso, uniti a bike sharing, carpooling, monopattini elettrici, robotaxi e bus a chiamata prenotabili in tempo reale tramite smartphone, la mobilità cambierà radicalmente e sarà, a tutti gli effetti, adatta a una intelligent city.

Secondo Michael Bolle, membro del consiglio di amministrazione di Bosch, per raggiungere questo livello dovremo ancora attendere. «Non avremo auto completamente automatizzate fino alla prima metà di questo secolo» – ha affermato in occasione del CES di Las Vegas, kermesse di cui ogni anno la guida autonoma è protagonista. Nonostante si rincorrano le attività di ricerca e sviluppo (sia per i livelli di guida autonoma 2 e 3 che nei più avveniristici livelli 4 e 5), i limiti sono ancora parecchi. Economici, ovviamente, nonché tecnologici – servono sensori Lidar e sistemi di backup in grado di intervenire per sopperire a eventuali guasti – ma anche normativi. Le auto del futuro devono infatti fare i conti con codici della strada decisamente analogici.

L’Italia ha iniziato a lavorare alla questione con il Decreto Smart Road del 2018, introducendo nuove regole per le sperimentazioni su strade pubbliche, tra le quali, la presenza obbligatoria di un supervisore in grado di passare in ogni momento dalla modalità automatica a quella manuale. Il decreto è stato poi rielaborato nel 2020 autorizzando la sperimentazione su strada anche per vetture prive di volante o pedali, quindi mezzi totalmente autonomi. Questo con l’obiettivo di offrire nuove forme di trasporto in un’epoca in cui la priorità è quella del distanziamento sociale. Anche in questo caso, infatti, Covid-19 può fungere da acceleratore di nuove possibilità (si pensi all’uso di robotaxi per il trasporto dell’ultimo miglio).

Secondo quanto si legge nel documento, le sperimentazioni potrebbero vedere il contributo di Next Future Transportation, start-up di Padova già attiva a livello internazionale nel settore, Local Motors, start-up americana che ha sviluppato un minibus a guida autonoma e Navya, azienda francese leader nella guida senza conducente con oltre 1,5 milioni di km già percorsi in guida autonoma nel mondo. Proprio con Navya, ad esempio, è stato effettuato il primo viaggio in Italia (a Merano, in Alto Adige) aperto al pubblico, su percorso urbano riservato, di un minibus elettrico da 15 posti senza conducente. Per una settimana, i cittadini di Merano hanno avuto la possibilità di salire a bordo del bus per percorrere un circuito ad anello che lambiva il centro storico. Lo shuttle montava 17 satelliti e un sofisticato sistema Gps, già pronto a operare in ambiente 5G. Il margine di errore del veicolo, pensato per circolare soprattutto nelle zone a traffico limitato, nelle aree pedonali, negli ospedali, nei campus universitari, nei parchi tematici o nelle aziende, era appena di un centimetro.

Qualcosa di simile è stato fatto anche a Parma e a Torino, mettendo alla prova le capacità di circolazione dei veicoli nel traffico. A Parma, in particolare, sono stati testati i sistemi di percezione visiva e mediante radar, il sistema di pianificazione del percorso e il comportamento del veicolo nelle intersezioni, negli incroci e nelle rotonde. A Torino, invece, è arrivato un minibus elettrico a guida autonoma con capienza fino a 12 persone e autonomia per 40 km. Altri test si sono avuti più recentemente in Sardegna, sulla statale 199, la Sassari-Olbia. Qui, alcune auto a guida autonoma hanno percorso sette chilometri a 130 km orari, sorpassandosi tra di loro. L’arteria, chiusa al traffico durante i test, è stata progettata come Smart Road, altro grande capitolo della nuova mobilità. Le Smart Roard sono infatti capaci di fornire ai veicoli informazioni importantissime: dal traffico, alle condizioni meteo alla presenza di ostacoli. Un grande progetto, quello delle strade digitali, su cui Anas promette di investire un miliardo di euro per trasformare 3 mila km di strade italiane entro il 2030.

Va da sé che anche i produttori di auto e non solo – si pensi a colossi come Apple, Amazon, Baidu – sono impegnati nello sviluppo di veicoli a guida autonoma. Si calcola infatti che entro il 2030 in Europa potrebbero circolare oltre 4 milioni di veicoli senza conducente. E secondo P&G Intelligence, il mercato – solo a livello europeo – potrà valere qualcosa come 191 miliardi entro il 2030, con un tasso di crescita annuo del 18,4%.

Silvia Pagliuca

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