In vista dell’evento City Vision Talk Dati, previsto il 18 marzo dalle 11 alle 12:30 negli spazi PHYD di Milano, abbiamo intervistato Maurizio Napolitano, Head of Unit Digital Commons Lab della Fondazione Bruno Kessler di Trento, che sarà presente come speaker. Tra i più importanti esponenti del mondo open data a livello nazionale, Napolitano affronterà il tema sia con uno speech, sia partecipando al panel dedicato ai dati come risorsa (clicca qui per scoprire ospiti e programma e iscriverti). «In questi dieci anni, in Italia e non soltanto, abbiamo prodotto tanti junk data e pochi open data», ci ha spiegato. In questa occasione, City Vision – un progetto di Blum e Padova Hall – avremo modo di capire come le PA stanno sfruttando la tecnologia per mappare l’esistente attraverso i numeri per trasformare i processi.
A Napolitano abbiamo chiesto quali sono i gap da colmare nelle pubbliche amministrazioni per mettere a frutto i dati di un comune. «Ci sono sempre dati a sufficienza – ha premesso – il problema è che non sempre c’è la competenza per tirarli fuori». Secondo l’esperto di FBK, è l’approccio che deve cambiare: bisogna smettere di pensare agli open data come a un qualcosa di esterno dal lavoro all’interno di una struttura pubblica. «Apertura dati significa processi diversi, così come rapporti diversi con la cittadinanza. Ci sono tonnellate di disegni di arredo urbano che potrebbero risolvere problemi, e che per ora sono soltanto disegni. Trasformarli in dati costa tempo e risorse».
Avviare processi di trasformazione digitale in questo senso potrebbe senz’altro richiedere più di un mandato. Secondo l’Open Data Barometer, citato da Napolitano, si verifica spesso questa situazione: «Le PA che investono in open data li gestiscono come progetto parallelo: in sostanza creano un team open data esterno che difficilmente ha un impatto nel processo». Stando a Napolitano questo è frutto anche di un rapporto con i dati che tutti dovrebbero maturare, anche quelle figure non direttamente coinvolte in un occupazione di carattere informatico.
Se i dati ci sono, significa che negli anni si sono accumulati grazie al lavoro di funzionari, dipendenti, tecnici e utility. «I junk data – ha concluso Napolitano – sono inutili perché spesso non vengono aggiornati. Per cambiare approccio bisogna farli entrare nel processo, senza dare l’idea di far compiere un passaggio in più». Nel corso della sua carriera – come ci mostrerà a City Vision Talk Dati il 18 marzo – l’esperto di FBK ha realizzato moltissime mappe su open data e ne ha distribuito gli strumenti per continuare ad aggiornarle e ricreale proprio in quell’ottica di apertura. «Quando creo una mappa, una parte del mio lavoro è fornire anche la ricetta per farla».