Città sostenibili, in cui nuove infrastrutture verdi – come parchi, piste ciclabili, aree pedonali – collegano il centro alle periferie. Per unire, anziché dividere. È questo il primo “must have” delle città del futuro secondo Alessandra Coppa, architetto, giornalista, docente di “Storia dell’architettura Contemporanea” presso il Politecnico di Milano e di “Storia e documentazione dei beni architettonici” presso l’Accademia di Brera, autrice di “Architetture dal futuro. Visioni contemporanee sull’abitare” (Editore 24 ORE Cultura). Un volume con cui indaga le nuove sfide delle città e delle sue abitazioni, chiamate a ripensarsi proprio a seguito della pandemia. 

Dopo una prima parte di analisi storica, Coppa, intervista alcuni dei più importanti studi di architettura al mondo chiedendo loro di immaginare le nuove metropoli. Dalle visioni di Antonio Citterio – Patricia Viel, Carlo Ratti Associati, Foster + Partners, Fuksas, Mario Botta Architetti, Mario Cucinella Architects, Mit Boston, MVRDV, Renzo Piano Building Workshop, Stefano Boeri Architetti, Studio Italo Rota, Studio Libeskind, Studio Odile Decq, UNStudio e Zaha Hadid nasce un ragionamento sugli spazi urbani del post Covid-19, sempre più smart, green e connessi con le reali esigenze di chi li abita.

Così, guai a costruire sul costruito, meglio rigenerare e riusare, magari prendendo a modello le città ideali del rinascimento. «Riprendiamo il passato e rendiamolo contemporaneo, proiettandolo nel futuro» – esorta Alessandra Coppa, ricordando come le città si siano sempre dimostrate resilienti di fronte alle crisi. Basti pensare a come la Spagnola degli anni Venti abbia introdotto nella progettazione urbana nuovi criteri legati all’esposizione degli edifici e all’uso della luce naturale, portando alla nascita di quartieri modello per rendere le città più salubri. Un’attenzione che dobbiamo recuperare oggi rendendo i quartieri sempre più centrali per la nostra quotidianità, a scapito dei centri commerciali.

Ma, se da un lato le città non perderanno la loro attrattività (l’autrice ne è certa), dall’altro, è pur vero che gli ambienti domestici dovranno evolversi. Non più semplici “dormitori”, piuttosto luoghi sicuri e accoglienti in cui l’interior design troverà nuova linfa. Per Patricia Viel, ad esempio, «l’habitat del futuro sarà fatto di spazi che mostrano un’ibridazione di funzioni». Luoghi flessibili, quindi, che la famiglia può usare per ritrovarsi e, all’occorrenza, per studiare, lavorare o ricrearsi. Per Cucinella, addirittura, «parte della progettazione degli edifici di domani sarà affidata a chi li abita». E in questi nuovi edifici, la tecnologia dovrà essere impiegata per ridurre il consumo di energia e le emissioni nocive. Meno ostentata, quindi, ma più performante. Il tutto, mentre all’interno delle abitazioni, l’arredamento torna a essere centrale. «Gli oggetti saranno meno provvisori perché riporremo più cura nello scegliere ciò che ci fa davvero star bene» – assicura l’autrice, riconoscendo in questo un’ulteriore declinazione della sostenibilità.

Del resto, come afferma Italo Rota, «il 2020 può essere considerato l’inizio di una nuova era che cambierà le nostre vite, le nostre case e le città, ma soprattutto, l’architettura, perché questo virus è il prodotto di una città e di un’architettura che non sono più adeguate».

Silvia Pagliuca

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